Anche RAI Pubblicità S.p.a. può essere considerata un organismo di diritto pubblico? Per il TAR Liguria sì
Con la sentenza n.307/2021 del 9.4.21, il TAR Liguria si è di recente pronunciato sul tema della configurazione degli “organismi di diritto pubblico” e, in particolare, sulla natura giuridica di RAI Pubblicità S.p.a., interamente partecipata da RAI-Radiotelevisione Italiana S.p.a. (“RAI”), e se essa rientri nell’ambito soggettivo di applicazione del Codice dei Contratti.
Il Collegio ha innanzitutto ricordato che, sia per la giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III, n. 54/2020 e n. 5460/2004) che per quella di legittimità (cfr. Cass. Civ. S.U., n. 28330/2011 e n. 10443/2008), è indubbio che la RAI sia ascrivibile alla categoria degli organismi di diritto pubblico. Tuttavia, in considerazione dei margini di incertezza dell’applicazione della c.d. “teoria del contagio”, il Collegio ha ritenuto di dover verificare se i caratteri di RAI Pubblicità S.p.a siano riconducibili a loro volta a quelli fondanti gli organismi di diritto pubblico.
Come noto, in forza dell’art. 3, comma 1, lett d) del Codice dei Contratti, per “organismo di diritto pubblico” si intende “qualsiasi organismo, anche in forma societaria … 1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) dotato di personalità giuridica; 3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico.”
La società in questione, per il TAR Liguria, non solo soddisfa i requisiti sub. 2) e 3), essendo dotata di personalità giuridica ed essendo partecipata al 100% dalla RAI, ma presenta anche il carattere “teleologico” sub. 1), posto che è stata costituita “per soddisfare esigenze di interesse generale della “società madre” alla quale garantisce, attraverso la raccolta pubblicitaria, una parte essenziale delle risorse necessarie per l’esercizio del servizio pubblico radiotelevisivo, non avente carattere esclusivamente commerciale”. A riguardo, è “indifferente che, oltre alle attività volte a soddisfare esigenze di interesse generale, essa svolga anche attività a scopo di lucro sul mercato concorrenziale (cfr. CGUE, sez. IV, n. 567/2017)”.
Stante quanto sopra, il TAR Liguria, sebbene abbia dichiarato il ricorso in oggetto irricevibile, ha comunque ricondotto la RAI Pubblicità S.p.a. nel novero degli organismi di diritto pubblico e, quindi, tra le amministrazioni aggiudicatrici, in relazione alle quali (I) risulta necessaria l’applicazione del Codice dei Contratti e (II) il giudice amministrativo detiene giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma 1, lett. e), n. 1) c.p.a.
Di fatto, quindi, nuovamente il requisito teleologico, con riferimento al quale è configurabile un maggior margine di apprezzamento discrezionale per il Giudice, diventa l’ago della bilancia per qualificare un ente societario quale organismo di diritto pubblico o meno, a prescindere dalla partecipazione ad un contesto economico concorrenziale e dal sopportato rischio d’impresa.
Resta comunque necessaria, ad avviso di chi scrive, una verifica caso per caso di natura sostanziale: e cioè va verificato se l’ente partecipato sia o meno “mandatario” di una funzione pubblicistica, e quindi di una funzione in tale senso riconducibile all’Ente pubblico partecipante, dovendosi comprendere se la sua missione esercitata in via diretta, consenta solo in via indiretta e mediata il soddisfacimento di un interesse generale, che però resta un fenomeno prettamente privatistico, seppur sotto l’egida di ragioni sociali e/o connesse con l’economia generale.
Sono queste, d’altro canto, le stesse maglie in cui si è impigliata la volontà del legislatore di limitare il fenomeno delle società partecipate da parte di enti pubblici: se il divieto, infatti, è stato facilmente apponibile alle partecipazioni societarie dirette, l’inevitabile diluizione della mano pubblica che si ha nel caso di partecipazioni indirette (anche dette di terzo livello) rende necessaria una verifica sostanziale molto più approfondita, caso per caso, che tenga necessariamente conto dello schermo intermedio.