Regolamento di Aarhus: per il Tribunale UE una delibera BEI diretta al finanziamento di una centrale a biomasse rientra tra gli “atti amministrativi accessibili nell’ambito del diritto ambientale”
Le norme della BEI contenenti criteri di natura ambientale per la selezione dei progetti soggetti a finanziamento sono assimilabili a disposizioni legislative nell’ambito del diritto ambientale UE ex art. 2.1.f del Regolamento di Aarhus.
Una delibera BEI che tratti anche della compatibilità di un progetto di sviluppo di una centrale a biomasse con i criteri di natura ambientale inseriti nelle norme della BEI, si qualifica come provvedimento di portata individuale adottato “nell’ambito del diritto ambientale”, ai sensi dell’art. 2.1.g del Regolamento di Aarhus, suscettibile dunque di procedura di riesame interno, ai sensi dell’art. 10 del medesimo Regolamento[1].
According to a recent EU General Court ruling, those EIB’s rules of general application, adopted for the purpose of achieving TFEU and EIB objectives, which include environmental criteria for the eligibility of projects for EIB funding, have to be considered as EU “environmental law” pursuant to art. 2.1.f of the Aarhus Regulation.
Thus, a EIB Board of Directors resolution, which defines whether a biomass power plant construction project complies with these environmental criteria in order to be funded, is indeed “a measure of individual scope adopted under environmental law” within the meaning of 2.1.g of the Aarhus Regulation. Finally, this resolution can be subject to internal review as per art. 10 of the Aarhus Regulation.
Il 12 aprile 2018, la BEI[2], con delibera del proprio Consiglio di Amministrazione, approvava la richiesta di avvio della procedura di finanziamento pervenuta dal promotore di un progetto di sviluppo di una centrale elettrica a biomasse in Galizia (Spagna).
Il 9 agosto 2018, ClientEarth, O.N.G. attiva nella tutela dell’ambiente, in forza dell’art. 10 regolamento (CE) n. 1367/2006, c.d. Regolamento di Aarhus, inoltrava alla BEI un’istanza di riesame interno della predetta delibera, contestando la valutazione del citato organismo, secondo cui il progetto della centrale a biomasse contribuirebbe al raggiungimento degli obiettivi UE in materia ambientale. La BEI rigettava tale richiesta di accesso, ritenuta irricevibile, asserendo che la delibera in questione non fosse annoverabile tra gli “atti amministrativi” suscettibili di riesame interno ai sensi dell’art. 2.1.g del Regolamento di Aarhus[3].
A seguito di tale provvedimento di diniego, Client Earth ha proposto ricorso al Tribunale dell’UE per richiederne l’annullamento, deducendo due motivi di diritto: (i) erronea applicazione dei requisiti per poter qualificare un provvedimento come “atto amministrativo”, ai sensi dell’art. 2.1.g del Regolamento di Aarhus; (ii) violazione dell’obbligo di motivazione, ai sensi dell’art. 296 TFEU.
Con la sentenza del 21 gennaio 2021 (causa T-9/19), il Tribunale dell’UE si è pronunciato circa la possibilità di configurare una delibera della BEI come “atto amministrativo nell’ambito del diritto ambientale” suscettibile di accesso e riesame interno ex art. 10 del Regolamento di Aarhus.
La Corte ha innanzitutto rigettato, in quanto infondato, il secondo motivo di ricorso, sostenendo che il diniego di riesame interno della delibera è stato sufficientemente motivato dalla BEI, la quale ha appunto argomentato che, a suo parere, tale atto non rientrava tra gli “atti amministrativi” ai sensi del Regolamento di Aarhus.
Passando poi alla disamina del primo motivo di ricorso, la Corte ha preliminarmente sottolineato la necessità di salvaguardare l’efficacia della Convenzione di Aarhus, alla luce della quale deve essere interpretato il Regolamento di Aarhus, chiarendo che il concetto di “atto amministrativo” ex art. 2.1.g del Regolamento di Aarhus deve essere inteso sulla base del requisito fondante la predetta Convenzione, ossia la garanzia per la parte ricorrente ad “un accesso effettivo … alla giustizia”.
Stante ciò, con riferimento allo specifico requisito di “atto di portata individuale adottato nell’ambito del diritto ambientale”, la Corte ha ricordato che, ai sensi dell’art. 2.1.f del Regolamento di Aarhus, per “diritto ambientale” si intende “la normativa comunitaria che, a prescindere dalla base giuridica, contribuisce al raggiungimento degli obiettivi della politica comunitaria in materia ambientale, stabiliti nel trattato: salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente, protezione della salute umana, utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali e promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale”.
Dalla lettera della norma emerge come il legislatore europeo abbia voluto attribuire al concetto di “diritto ambientale” un significato ampio, da riferire a tutte quelle disposizioni legislative dell’UE, provenienti dalle sue istituzioni o dai suoi organi, che contribuiscano al concreto raggiungimento degli obiettivi della politica europea in materia ambientale. A riguardo, non assume alcun rilievo il fatto che tali disposizioni: (i) non siano finalizzate direttamente alla tutela ambientale in senso stretto; (ii) non abbiano come base giuridica, che ne giustifica l’adozione, gli artt. 191 e ss. TFEU, di cui al Titolo XX sull’ambiente[4].
Del resto, dallo stesso tenore letterale delle disposizioni della Convenzione di Aarhus emerge che “tutti gli atti delle autorità pubbliche contrastanti con le disposizioni del diritto ambientale dovrebbero poter essere contestati. Pertanto, non occorre limitare l’accesso alla giustizia in materia ambientale ai soli atti di autorità pubbliche che abbiano formalmente come base giuridica una disposizione di diritto ambientale”.
Dunque, con specifico riferimento alla delibera controversa, la Corte ha concluso che tale atto è qualificabile come “atto amministrativo nell’ambito del diritto ambientale” suscettibile di accesso e riesame interno, poiché rilasciato sulla base di “taluni criteri di natura ambientale adottati dalla BEI nell’esercizio della sua autonomia istituzionale e volti direttamente alla realizzazione degli obiettivi della politica dell’Unione nel settore dell’ambiente”. La BEI, infatti, nello svolgimento dei propri compiti e per la realizzazione degli obiettivi di cui al TFEU, ha la facoltà di adottare norme di portata generale, debitamente pubblicate e attuate, che ne limitano il potere discrezionale.
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[1] Massime non ufficiali.
[2] La Banca Europea per gli Investimenti (“BEI”) è un organismo dell’Unione Europea, con personalità giuridica distinta da quella dell’UE, amministrata e gestita da propri organi e con risorse e bilancio propri, che, a norma dell’art. 309 TFUE, ha il compito di contribuire allo sviluppo del mercato interno nell’interesse dell’UE, mediante la concessione di prestiti e garanzie per finanziare diversi progetti in tutti i settori dell’economia di interesse comune per diversi Stati membri.
[3] Secondo tale articolo per “atto amministrativo” si intende “qualsiasi provvedimento di portata individuale nell’ambito del diritto ambientale adottato da un’istituzione o da un organo comunitari e avente effetti esterni e giuridicamente vincolanti”.
[4] Un’ulteriore conferma circa la fondatezza della predetta interpretazione proviene dall’art. 192 TFEU, secondo cui nell’ambito del diritto ambientale di cui al Titolo XX TFEU rientrano anche: “a) disposizioni aventi principalmente natura fiscale; b) misure aventi incidenza sull’assetto territoriale, sulla gestione quantitativa delle risorse idriche o aventi rapporto diretto o indiretto con la disponibilità delle stesse; sulla destinazione dei suoli, ad eccezione della gestione dei residui; c) misure aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell’approvvigionamento energetico del medesimo”. Infatti, a voler intendere il “diritto ambientale” in senso più restrittivo, grande parte delle predette disposizioni e misure non rientrerebbero in tale settore.